La riscoperta dei grani antichi gode di una tendenza favorevole del mercato. I consumatori ne apprezzano l’ ottima digeribilità e li ritengono più eco-compatibili. Ma siamo davvero sicuri che sia tutto oro quello che luccica? Alcuni test farebbero emergere seri dubbi.
La riscoperta dei grani antichi gode di una tendenza favorevole del mercato. I consumatori ne apprezzano l’ ottima digeribilità e li ritengono più eco-compatibili. Si tratta infatti di molte varietà scomparse perché poco adatte ad una coltivazione più intensiva e con rese per ettaro più basse rispetto a quelle moderne.
Il termine antico tuttavia è improprio: questi grani erano diffusi in un tempo non necessariamente remoto. Ma sotto l’ aspetto marketing il termine “antico” evoca il ritorno al passato, alla genuinità e ai valori di una volta.
La trovata commerciale funziona tant’è che il fenomeno è talmente in crescita da far sorgere seri dubbi sulla reale disponibilità di quantità di grano sufficienti a soddisfare una crescente domanda di mercato.
Data la tendenza, si moltiplicano gli interessi e gli appetiti intorno al tema ma aumentano in parallelo anche le difficoltà o le manovre scorrette per favorire qualche sedicente organizzazione di categoria.
Il caso della filiera del Cappelli è emblematico, specie dopo l’assegnazione tramite bando pubblico alla Società italiana sementi della gestione “esclusiva” di un prodotto che ormai è di “domino pubblico”. Basterebbe dimostrare che il brevetto è scaduto, che non vi sono stati miglioramenti alla varietà, che la diffusione è preclusa e così la licenza potrebbe essere revocata perchè non esercitata in maniera corretta!
Gli amministratori di questa società, peraltro, hanno incarichi di rilievo all’ interno di Coldiretti, che invece di preoccuparsi della diffusione di questo antico patrimonio pubblico (obbligo previsto dal bando), vuole farne un business solo per i propri associati, in violazione alle norme europee sulla concorrenza. Ne abbiamo parlato in modo approfondito in questo articolo.
Senatore Cappelli, GranoSalus: “E’ patrimonio di tutti. Stop allo scippo!”
La procedure di affidamento dell’ esclusiva a Sis da parte del CREA presenta più ombre che luci. E presto saranno interessati vari organi competenti. Del resto non è possibile che su un bene pubblico questa società percepisca 40 euro a quintale per l’intermediazione!
Occhio alle frodi
Ma quello che più sorprende sul piano strettamente numerico è il volume di pasta presente sul mercato rispetto al grano effettivamente prodotto in Italia. Si parla di una superficie stimata inferiore a 1000 ettari in Italia, ma i volumi di pasta venduti superano queste aree coltivate a grano. Non a caso, sembrerebbe che i pacchi di pasta Senatore Cappelli non siano tutti autentici: dai primi test di laboratorio emergerebbero forti dubbi!
E allora come garantire ai consumatori che dentro quei pacchi di pasta ci sia per davvero grano varietà Cappelli al 100%?
Il ruolo del pubblico
Molte delibere regionali prevedono finanziamenti dedicati alle filiere che valorizzano i grani antichi locali, la loro coltivazione e trasformazione. Ma le stesse Regioni dovrebbero preoccuparsi di verificare cosa viene immesso nel mercato. Chi fa i controlli? Nessuno!
Occorre invece garantire la tracciabilità dal produttore all’ultimo attore della filiera per tutelare il consumatore da possibili frodi alimentari, anche dopo l’attuazione di un bando. Solo così le varietà antiche possono essere valorizzate. Altrimenti, come nel caso del pastificio Cerere di Matera, le iniziative vengono finanziate con fondi europei per incentivare la produzione di grani locali e poi nella pasta si ritrova grano canadese.
Ma come al solito è un’ associazione di privati che deve sostituirsi ai controlli pubblici.
Oggi, grazie alla biologia molecolare è possibile identificare una singola varietà e confrontare se quei geni sono contenuti nella pasta o nel pane. Il metodo utilizzato consiste nell’analisi di sequenze di DNA ripetute ed il loro confronto con i profili genetici nei database di controllo.