Ordine del Giorno del Sen Fazzone n. G/1138/2/9 al DDL n. 1138
Il Senato,
in sede di esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge 15 maggio 2024, n. 63, recante disposizioni urgenti per le imprese agricole, della pesca e dell’acquacoltura, nonché per le imprese di interesse strategico nazionale (A.S. 1138),
premesso che:
il grano duro resta la coltivazione più diffusa in Italia, con circa 300.000 agricoltori impegnati in questa coltura. Il nostro Paese è primo in Europa e secondo nel mondo nella produzione di grano duro destinato alla pasta;
nel corso degli anni, in Italia, il prezzo del grano è calato sensibilmente, anche a causa di fenomeni speculativi non ancora sanzionati e, per questo, nell’ultimo decennio è scomparso un campo di grano su cinque, con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati e con effetti dirompenti sull’economia, sull’occupazione e sull’ambiente;
in un periodo di guerra, come quello che si sta vivendo, con i supermercati che vengono assaliti per acquistare beni di prima necessità, come pane, pasta e farina, accade che tali prezzi aumentano sensibilmente, mentre il prezzo della materia prima, cioè il grano, non subisce nessun aumento;
nonostante la domanda dei prodotti finiti (pasta e semola) si mantenga sempre elevata soprattutto sul mercato internazionale, la domanda d’acquisto della materia prima, ossia il grano duro nelle sue diverse varietà, pur mantenendosi sostenuta, presenta una dinamica che incide negativamente sui prezzi, i quali, senza adeguati aiuti comunitari, non riuscirebbero a garantire una corretta remunerazione agli agricoltori;
infatti, la pasta 100 per cento grano italiano costa dai 3 euro in su, mentre il grano 100 per cento italiano è sceso in meno di 6 mesi da 0,58 a 0,36 euro al chilo; circa 10 volte in meno il prezzo della pasta 100 per cento italiana;
già in passato le rilevazioni dell’ISMEA mostravano che i prezzi del “grano duro fino” nazionale erano estremamente variabili tra loro e non sembravano rispondere ad una logica precisa;
dalle audizioni dell’Antitrust effettuate in Parlamento in data 4 febbraio 2020, si è preso atto che, dal 2015 ad oggi, c’è stata una distorsione del mercato del grano duro italiano. Ovvero i prezzi del grano duro del nostro Paese sono sempre più bassi dei prezzi del grano duro estero;
nonostante il Governo abbia deciso di anticipare i tempi per riportare trasparenza sui mercati e fare chiarezza sui numeri della produzione nazionale, la strategia del Governo sinora non ha risolto le criticità che stanno mettendo in ginocchio il comparto e si limita ad adottare misure provvisorie e sperimentali;
una delle misure dei precedenti Governi è stata la commissione prezzi unica nazionale (CUN), frutto di intese al tavolo di filiera e unico strumento in grado di garantire equità e trasparenza nella previsione dei prezzi del grano, ma la sua attività, sia pur sperimentale, è stata interrotta da ottobre 2022 senza motivazioni plausibili. È ripartita d alcuni mesi e non riesce a diventare ancora effettiva per le resistenze dei trasformatori;
l’istituzione effettiva della CUN si rende necessaria perché le borse merci sono uno strumento ormai obsoleto, come riconosciuto anche da una sentenza del TAR di Foggia (n. 01200/2019) da cui è emerso che: “le rilevazioni dei prezzi non si basano su dati documentati da fatture o da altri riscontri certi e facilmente verificabili, ma su dati riportati solo oralmente dai presenti; e, pertanto, frutto di un’istruttoria deficitaria, in contrasto con le delibere di giunta nn. 52 del 2009 e 67 del 2016 a mente delle quali le quotazioni devono essere basate su elementi certi di valutazione”. Vizi formali e sostanziali hanno portato il TAR ad annullare i listini settimanali dei prezzi del grano duro della camera di commercio di Foggia per gli anni 2016 e 2017;
la legge sulla tracciabilità dei grani italiani è stata approvata nel 2020 se non altro per capire di che grano è fatta la nostra pasta, ma i continui rinvii non hanno agevolato né i produttori né i consumatori. Gli italiani vogliono sapere con certezza chi fa pasta al 100 per cento con grano italiano, senza l’aiuto di sostanze potenzialmente pericolose che spesso troviamo dentro i pacchi di pasta, anche se nei limiti di legge, quando si utilizzano miscele con materie prime estere scadenti e a basso prezzo;
il programma Granaio Italia, sotto questo profilo, garantirebbe la tracciabilità dei volumi nazionali, grazie ai registri di carico e scarico, come avviene nell’olio, ma da anni non riesce a spiccare il volo perché ai trasformatori la legge non piace e vorrebbero addirittura modificarla;
gli accordi di filiera, nonostante le risorse impegnate sinora, non sono riuscite a decollare (solo il 15 per cento degli agricoltori stipula i contratti) perché non vi è un quadro giuridico che tuteli la parte debole agricola dal punto di vista negoziale verso i trasformatori che imponendo condizioni restrittive abusano del loro potere economico;
il fondo istituito con l’art 23-bis del decreto-legge n. 113 del 2016 volto a favorire la qualità e la competitività delle produzioni delle imprese agricole cerealicole e dell’intero comparto cerealicolo, non ha sortito gli obiettivi prefissati;
non è stato adottato alcun programma di differenziazione e valorizzazione del grano duro nazionale, notoriamente privo di contaminanti rispetto ai grani esteri importati, che attraverso un marchio di riconoscibilità avrebbe effetti positivi sull’economia, sulla salute dei consumatori e sul bilancio sanitario dello Stato,
impegna il Governo:
ad implementare con urgenza i pilastri della strategia per affrontare e risolvere l’ennesima crisi di mercato del grano duro, che vede oggi l’arrivo di ingenti quantità di grano da Turchia, Russia e Canada;
ad avviare la fase effettiva della Commissione unica nazionale, cessando la fase sperimentale;
ad istituire il registro telematico di carico e scarico della merce che entra ed esce dai mulini;
ad adottare un marchio del grano duro italiano, sulla stregua del Desert Durum americano.