La speculazione fa male all’economia del Paese. Bene le prime mosse del Governo

Speculazione su caro pasta. Il governo ha fatto bene a dare un segnale con la convocazione della ‘Commissione di allerta rapida’, ma il problema del caro prezzi è semplice e non si risolve con i contratti di filiera o accorciando le stesse. L’ antitrust in passato ha già scovato i responsabili dei cartelli sui prodotti finiti (a valle) e il TAR Puglia ha persino annullato i listini del prodotti all’origine (a monte). Quante altre prove occorrono per dimostrare che il sistema va cambiato e che occorre armonizzare i prezzi al consumo con quelli all’origine?

La pasta rappresenta un orgoglio per il Made in Italy, il fulcro della dieta mediterranea, un prodotto che fa da volano all’export e a tante altre eccellenze nostrane. Ma ciclicamente è oggetto di polemiche per i fenomeni distorsivi.

Affermare che vi sia una speculazione in atto non è una pubblicità negativa al Made in Italy, ma è una verità storica, dimostrata dall’ Antitrust e dal TAR Puglia. Anche sul grano Cappelli c’è stato un pronunciamento dell’ antitrust.

E’ dunque pura speculazione quella in atto, non tollerabile in un momento in cui le famiglie soffrono per altre difficoltà, come l’innalzamento dei tassi di interesse che porta ad un aumento dei mutui.

Questa speculazione scoraggia la produzione nazionale se il governo non interviene in maniera risolutiva.

Cosa si è detto ieri alla Commissione sul caro pasta?

Il sottosegretario al Ministero per le Imprese e Made in Italy e presidente del Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti, Massimo Bitonci, ha dichiarato che: “Gli aumenti hanno raggiunto un +17,5% a marzo e il Mimit sta monitorando la situazione, a beneficio delle famiglie. Oltre alle tutele dei consumatori vanno individuate quelle per gli agricoltori, affinché venga riconosciuto loro il giusto prezzo”. 

La posizione Codacons

I numeri sulla pasta diffusi oggi dall’Unione Italiana Food si scontrano con una realtà purtroppo ben diversa, dove i rincari e i listini al dettaglio sono più elevati di quanto rilevato dall’associazione“. Ha affermato il Codacons che, dati ufficiali alla mano, contesta nettamente i numeri forniti dai pastai.

A marzo i prezzi della pasta fresca e secca sono saliti, secondo l’Istat, del 18,2% su base annua, oltre il doppio del tasso di inflazione che, a marzo, si è attestato al 7,6%“, spiega il Codacons. “Questo significa che, in base alla spesa per consumi delle famiglie per i vari prodotti alimentari, forniti sempre dall’Istat, la maggiore spesa si aggira in media sui +25,5 euro annui a nucleo”, continua l’associazione.

“Siamo inoltre curiosi di sapere in quali negozi un pacco di pasta costa 1,07 euro, come affermato dall’Unione Italiana Food – prosegue il Codacons – perché se tale dato si riferisce alla vendita al dettaglio, tutti i numeri ufficiali ci dicono che in numerose città la pasta costa sopra i 2,3 euro al chilo, e il prezzo medio in Italia è abbondantemente sopra quota 2 euro al pacco”.

La posizione Unc

Come temevamo, la riunione della Commissione di allerta rapida sui prezzi della pasta non ha prodotto nulla di concreto contro le speculazioni in atto, ma solo parole“. Lo ha affermato l’Unione Nazionale Consumatori (Unc) in una nota. “I sistemi di controllo sulle filiere, i monitoraggi, le osservazioni sulle dinamiche dei prezzi possono fare ben poco se poi, individuati i responsabili del problema, non si possono perseguire. Ancor meno serve la moral suasion. Se poi si nega addirittura che la speculazione ci sia, allora andiamo veramente male” .

“La verità – prosegue l’ UNC – è che ci troviamo di fronte al solito problema della doppia velocità, come dimostra il nostro studio. Mentre il prezzo della pasta è cominciato a salire immediatamente, non appena il prezzo del frumento duro è iniziato ad aumentare, ossia da luglio 2021, ora che scende da un anno, dopo il record toccato nell’aprile 2022 per quello extra Ue, la pasta ha proseguito indisturbata la sua corsa al rialzo”.

La posizione dei pastai

“L’allarmismo di questi giorni appare davvero poco giustificato – rispondono i pastai di Unione Italiana Food – si sono letti tanti numeri, alcuni anche sbagliati: resta il fatto che noi pastai possiamo solo ribadire che il prezzo della pasta alla produzione è aumentato dell’8,4%, in linea con l’aumento dell’indice d’inflazione medio dei beni al consumo. Se la crescita è stata poi del +16,5% è frutto di dinamiche esterne al mondo della produzione”.

Il Garante per la sorveglianza dei prezzi, Benedetto Mineo, da parte sua ha evidenziato che è attesa a breve una significativa discesa del costo della pasta e che il monitoraggio continua.

Nel frattempo gli industriali dichiarano che:

“L’indisponibilità di materia prima italiana in quantità e in alcuni casi di qualità omogenea, resta sempre la principale criticità di una filiera che fatica a soddisfare la domanda dei pastifici, stante anche la crescita dell’export”.

La posizione di Granosalus

ARMONIZZARE I PREZZI AL CONSUMO CON I PREZZI ALL’ORIGINE

“Se negli ultimi quaranta anni la forbice tra prezzi al consumo di pasta e pane e prezzi all’origine del grano è aumentata enormemente, l’unica spiegazione è l’assenza di controlli sulla speculazione e l’iniqua distribuzione della ricchezza nella catena del valore”.

Lo ha dichiarato l’ex senatore  Saverio De Bonis, presidente di Granosalus, associazione di consumatori e produttori di grano duro.

Nel 1984(*) un quintale di grano costava 42.500 lire (equivalenti a 72,82 euro di oggi) e un quintale di pasta al massimo 90 mila lire, con un rapporto uno a due; oggi un quintale di grano costa 30 euro e un quintale di pasta 300 euro, con un rapporto uno a dieci.

E’ vero che nel frattempo è aumentata la produttività (sul fronte agricolo come su quello industriale) ma è del tutto evidente che ai produttori, a prezzi attualizzati, vengono scippati almeno 100 euro a quintale, se dovessimo rispettare lo stesso moltiplicatore di quaranta anni fa. 

Un vero e proprio furto testimoniato nel tempo dai cartelli già sanzionati in passato dall’Antitrust, ma ancora attuali, e da una politica delle importazioni che fa entrare di tutto nel nostro Paese per favorire quella leva strategica che comprime i prezzi all’origine senza differenziare la nostra qualità, a danno dei consumatori.

Per rompere questa situazione non basta la moral suasion del ministro Urso che ieri ha visto in scena, nella Commissione di allerta rapida, un braccio di ferro con l’industria che non intende ridurre i prezzi al consumo.

Le proposte di Granosalus

Occorrerebbe ancorare, attraverso la trasparenza della CUN, i prezzi al consumo dei prodotti finiti con quelli all’origine, tracciare con il registro telematico tutti i movimenti di carico e scarico dei molini e tutelare il nostro grano italiano di qualità con misure ad hoc.

Invece di insistere sui contratti di filiera con inutili aggravi per il bilancio dello Stato, la strada da seguire da parte del governo italiano, e nell’interesse generale della nazione e del bilancio sanitario, dovrebbe essere quella americana del Desert Durum.

E’ l’unico modo affinchè il nostro grano di qualità esca fuori dalle commodities e diventi un brand di valore riconosciuto nel mondo.

I contratti di filiera, purtroppo, non hanno dimostrato di essere la risposta esaustiva al problema. Solo il 10-15% del mercato li ha utilizzati. La maggioranza del mondo agricolo non ritiene che siano uno strumento utile perchè aumentano la dipendenza economica dei produttori rispetto alle industrie e ai commercianti. 

(*) Fonte: Bollettino “3 x 3” Foggia

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