Dall’ultima edizione del SANA di Bologna (9-12 settembre) emergono dati nettamente in crescita per il bio in Italia e all’estero. La sfida è raggiungere il 25% della produzione entro il 2030, come indicato dall’UE. Ma la politica deve agire, in primis approvando definitivamente la legge sul bio.
Una cosa è certa. Il bio cresce a vista d’occhio. Lo confermano i numeri presentati al SANA, il Salone internazionale del Biologico e del Naturale svoltosi a Bologna dal 9 al 12 settembre.
Il mercato del biologico vede un’espansione costante non soltanto in Italia ma anche in Europa e in diversi paesi del mondo. La domanda da parte dei consumatori è sempre più forte, e questo ne fa un settore tra i più interessanti per produttori e trasformatori.
I numeri del bio
Quanto all’Italia, tutte le analisi confermano che la superficie biologica nel 2020 è cresciuta rispetto al 2019 del 5,1%. I terreni coltivati a biologico sono pari a oltre 2,1 milioni di ettari. Sono aumentati anche gli operatori in questo settore: 81.731 unità, pari a un +1,3%.
L’Italia, inoltre, si conferma uno dei paesi europei con la percentuale più elevata di SAU coltivata a biologico: il 16%. La media Ue è all’8,5%. In ogni caso bisogna fare ancora tanta strada per arrivare all’obiettivo del 25% entro il 2030 fissato dall’Unione europea.
I consumi
Per quanto riguarda l’andamento del mercato, in base all’Osservatorio SANA nel 2021 i consumi in Italia sono cresciuti del 5% rispetto all’anno precedente, con una spesa da parte delle famiglie italiane di 4,6 miliardi di euro.
Il dato però più impressionante è quello degli ultimi dieci anni: dal 2011 al 2021 i consumi interni sono aumentati di ben il 133%.
Anche le cifre dell’esportazione sono indicative: nell’ultimo anno sono cresciute dell’11% (2,9 miliardi di euro), e nell’ultimo decennio addirittura del 156%.
Quanto all’export, peraltro, l’Italia è seconda al mondo dopo gli Stati Uniti.
Mezzogiorno avamposto bio
Uno dei fatti più interessanti emersi dal SANA è che in testa ai territori italiani per produzioni biologiche si trovano tre regioni del Sud: Sicilia, Puglia a Calabria.
Il Mezzogiorno ha tutte le carte in regola per diventare un polo di eccellenza nel campo del bio, ponendosi così all’avanguardia dell’Italia anche rispetto alle indicazioni del Green Deal europeo. L’accresciuta propensione dei consumatori verso il cibo sano, infatti, va di pari passo con la maggiore attenzione verso l’ambiente e la natura.
Stando ai dati della dottoressa Silvia Zucconi (Nomisma), il 64% dei consumatori ha risposto di essere stato spinto al primo acquisto di prodotti bio dai benefici per la salute (soprattutto l’assenza di contaminanti e pesticidi) mentre il 42% dall’attenzione verso l’ambiente (a cominciare dalla produzione a km 0).
In ogni caso, le due cose vanno di pari passo nella percezione dei cittadini, come dimostra la grande importanza data al packaging, che deve essere preferibilmente con materiali riciclabili, riciclati o compostabili.
Le criticità
Tuttavia, non mancano le criticità. Innanzitutto, negli ultimi anni la crescita di superficie SAU dedicata al bio è stata più veloce in altri paesi europei rispetto all’Italia.
Inoltre, per alcuni comparti produttivi, come quello dei cereali, la percentuale di coltivazioni bio è ancora relativamente ridotta, e questo fa il paio con la quantità elevatissima di importazioni dall’estero di frumento duro.
A guidare la classifica delle produzioni biologiche sono invece l’ortofrutta, l’olivo e il vino.
Come evidenziato anche dai consumatori e dalle imprese, servono diversi tipi di azioni:
- una maggiore comunicazione e informazione sulle caratteristiche e i benefici del biologico, come pure sul marchio;
- meccanismi di incentivazione rivolti ai produttori, ai trasformatori e ai distributori;
- il rafforzamento della lavorazione locale e del circuito commerciale corto;
- la promozione della ristorazione e delle mense bio, sia aziendali sia scolastiche.
I nodi politici
Ma perché tutto questo diventi realtà serve una maggiore presa di coscienza da parte della politica.
Al SANA non sono mancate le polemiche per il rallentamento della legge sull’agricoltura biologica e biodinamica che, dopo essere stata approvata al Senato, attende di essere discussa alla Camera.
All’origine di queste lungaggini sembrano esserci le critiche pretestuose al biodinamico.
Lo stesso Angelo Frascarelli, presidente di ISMEA, ha preso atto del fatto che sembra più un nodo ideologico che sostanziale.
Nei mesi scorsi abbiamo assistito a una vera e propria guerra di religione contro l’agricoltura biodinamica e a favore della chimica, con argomentazioni che dimostrano una profonda ignoranza delle tecniche biodinamiche. E noi di Granosalus lo abbiamo denunciato.
La scienza, come affermato dal senatore Saverio De Bonis al SANA, dovrebbe fornire alla politica e al Parlamento dati concreti sui benefici del biologico e del biodinamico alla salute umana e di conseguenza al sistema sanitario nazionale.
Non sono passati inosservati, del resto, gli stop and go di alcune organizzazioni agricole che, dopo essersi proclamate favorevoli alla legge sul bio, ne hanno di fatto rallentato l’iter richiedendo pesanti modifiche, salvo poi rilasciare nuove dichiarazioni pubbliche a favore.
Questi pezzi del mondo sindacale farebbero bene a chiarire quanto prima la loro posizione.