Un’analisi per spiegare come mai a Foggia abbia preso piede la criminalità. Nel Granaio d’Italia l’agricoltura non dà reddito e il contesto socioeconomico si è indebolito tanto da offrire il fianco alla mafia. La città del grano diventa così una lente del degrado dell’intero Sud agricolo. Tutto nella colpevole inerzia della politica.
Un virus opportunista, che dà una patologia grave solo se l’ospite è debole. La criminalità organizzata è come il COVID: se trova un organismo sociale vitale e con anticorpi solidi viene combattuto. Se prende a bersaglio un organismo indebolito lo ammazza.
Esiste, ad esempio, il caso di Foggia.
La mafia a Foggia
La città del grano, la cui economia è stata fiorente sino alla fine del secolo scorso, sembra oggi devastata dal fenomeno mafioso, dalla criminalità organizzata e dai suoi tentacoli soffocanti.
Ma non ci si può e non ci si deve fermare alla constatazione del fenomeno criminale.
Bisogna, invece, capire come mai la città non sia in grado di reagire.
Occorre prendere atto dell’esistenza di una realtà economica morta, capirne le cause, attivarsi per rivitalizzarla.
La mafia a Foggia non è più un aspetto marginale in una realtà economica vitale e vivace. È, invece, la protagonista incontrastata. È tutto ciò che rimane.
Chi l’ha studiata ha capito che la criminalità organizzata a Foggia, lungi dall’essere qualcosa di atavico, è invece abbastanza recente.
Risale a pochi decenni fa ed è cresciuta mediante l’affiliazione che i piccoli delinquenti occasionali celebravano nei confronti di camorra, sacra corona unita e ‘ndrangheta nel carcere di massima sicurezza creato a Foggia negli anni ‘70. Un’incubatrice dove un numero sempre più nutrito di giovani trovava nuove possibilità criminali ed esistenziali grazie all’inquadramento mafioso. Intanto la città offriva sempre meno alternative lavorative e di realizzazione personale.
La lotta alla mafia condotta con marce e manifestazioni ha armi spuntate per due motivi. Da un lato, la società civile che manifesta è intaccata al proprio interno dal suo nemico, dall’altro non guarda alle cause per cui una società che dovrebbe essere ricca è povera.
Perché è conveniente delinquere
Come spiega Gratteri, “la criminalità organizzata avrà una fine quando non sarà più conveniente delinquere”.
Più conveniente rispetto a cosa? È doveroso che l’intera società si interroghi e studi analiticamente cosa resta di conveniente tra le attività economiche che qui è possibile praticare. Numeri alla mano, senza pregiudizi. Senza orientamenti.
Bisogna chiedersi se vi siano davvero opportunità di accesso ad attività economiche che rendano vitale il tessuto sociale e non conveniente delinquere.
Bisogna cercare la malattia pregressa che rende mortale il virus criminale.
Come insegna Edgar Allan Poe, “il posto migliore per nascondere qualsiasi cosa è in piena vista”.
E allora, qual è la vocazione produttiva di Foggia, quella che tutti conoscono? Quella realtà che sta così bene in vista?
Foggia è la città del grano. Il fatto è evidente.
Per lunghissimi anni la cerealicoltura ha rappresentato, insieme alla pastorizia e alla lana, la risorsa economica che ha reso importante la città di Foggia.
Storicamente le attività economiche della città giravano intorno all’agricoltura. Oltre l’edilizia abitativa, gli studi tecnici erano altamente specializzati in edilizia rurale e gli studi legali eccellevano nella materia del diritto agrario.
Industria ed artigianato legato alla meccanica agraria erano vivaci. Il grano aveva un’induzione decisiva sull’economia della città.
E allora se è sotto gli occhi di tutti gli osservatori che Foggia è la città del grano nessuno scorge in questo stesso fatto la causa della morte economica della città e della sua provincia. Il grano lo si coltiva ancora e la quantità prodotta è enorme. L’estensione dei terreni è immensa ma l’irrinunciabile cereale non ha più il valore di una volta. Lo si vende sottocosto, a coltivarlo ci si rimette. Le industrie preferiscono per lo più importarlo.
La vocazione del grano e gli agricoltori sotto scacco
Sta di fatto che i terreni di questa provincia sono aridi e assolati: a questa coltura sono vocati. Che cosa significa? Che non vi si può praticare altro? In un certo senso sì. Nel senso che la coltura vocata la coltivi meglio. La pratichi senza eccessive forzature, in modo piuttosto naturale: le condizioni ambientali sono tali da consentire eccellente qualità con il minimo sforzo. Al giorno d’oggi si dice “con una bassa impronta ambientale”. Ed anche con più bassi costi, è vero. Ma questi costi, così come un reddito dignitoso, un agricoltore avrebbe il diritto di ricavarli. E invece, se da un lato la coltivazione dei campi è il presupposto necessario per accedere ai fondi europei (l’unica speranza di reddito in questa area geografica del paese), per portare a termine effettivamente la coltura del grano i costi da troppi anni superano il prezzo che si ricava con la vendita.
I cerealicoltori della provincia di Foggia, quindi, continuano a produrre il grano anche se è diventato antieconomico per via sia delle condizioni climatiche sia della necessità di attivare le pratiche di accesso ai fondi previsti dalla PAC (Politica Agricola Comune).
È questa la verità così macroscopica e pertanto efficacemente nascosta. Il capoluogo dauno è tuttora circondato da campi di grano. Questa è la produzione del suo territorio. Altre prospettive economiche realistiche e remunerative non ve ne sono e non ve ne saranno.
Ma quali opportunità di lavoro offre il sistema territoriale?
Con il settore cerealicolo mortificato da anni di vendita sottocosto, il tessuto produttivo è clinicamente morto.
La necessità del grano
Ma è una produzione obsoleta quella del grano? Tutt’altro. È inutile produrre il grano locale? Tutt’altro. È l’unico davvero salutare sulla faccia della terra. È forse inutile mantenere tanti occupati nella cerealicoltura mediante una adeguata politica di sostegno al reddito, giacché esiste la meccanizzazione? Certo che no, perché solo questo consente di presidiare le masserie e le aziende agricole, di praticare l’agricoltura biologica (quella che i consumatori europei vogliono e per la quale versano ingenti tributi nelle casse dell’Europa).
È ormai privo di valore il grano? Assolutamente no! Il prezzo basso pagato ai produttori dipende dalla confusione che industria e consumatori stessi fanno tra il grano salubre dauno e quello non commestibile prodotto nel resto del mondo. Pertanto, quella granaria è una produzione virtuosa, ecologica e di eccellenza, da praticarsi come una volta in aziende di dimensioni medie con il metodo biologico e con più adeguati livelli occupazionali. È la produzione del grano la vera vocazione. Ma il suo declino è la patologia su cui ha trovato terreno fertile il virus della criminalità che assolda i suoi adepti nelle file della disoccupazione e della cattiva occupazione. Patologia resa ancora più grave dalla sua mancata diagnosi. La vocazione al grano deve tornare a essere una opportunità di ricchezza.
Il tradimento della politica
Il punto è che è stata tradita un’intera fascia della popolazione: quella produttrice di cibo, di alimento agricolo.
Una PAC disastrosa ha sottratto all’ agricoltura dauna miliardi di euro.
Una pessima contrattazione in sede europea ha impedito che l’agricoltura tradizionale della provincia di Foggia fosse un sistema economico appagante.
L’Unione europea che ha abdicato al proprio ruolo fondante: intervenire per sostenere i redditi degli agricoltori ed equipararli a quelli degli altri settori produttivi come stabilito dall’art. 39 del Trattato di Roma.
Così accade che la cerealicoltura, e in particolare quella dauna, non produce reddito sufficiente a nutrire il suo territorio né di un’economia sana né di sacrosante speranze.
Il degrado della città di Foggia dovrebbe essere interpretato da chiunque come la spia che ha accompagnato la distruzione dell’economia cerealicola della sua immensa provincia.
Il valore economico della Daunia è venuto meno col venir meno del valore del suo grano, ma ciò nessuno lo vede.
Sicché, anche oggi si colgono solo i sintomi della malattia, si prescrivono cure sintomatiche: repressione e controllo dei fenomeni criminali. Ma non si guarda alla causa, la mancanza di vitalità socioeconomica del paziente. Il nutrimento di una comunità non può che derivare da ciò che essa è naturalmente in grado di produrre.
Quali rimedi per una città moribonda e per tutto il Sud agricolo?
Il turismo da solo non basta
Può sopperire il turismo a risollevare le sorti della capitanata? Ovviamente no!
Le uniche iniziative nate per risollevare le sorti di Foggia si tingono di toni patetici. Pia illusione, ad esempio, che il destino di una città possa essere cambiato dalla riattivazione del suo aeroporto.
Ci si illude che possa essere il turismo a risollevare le sorti della intera provincia. Non è così: il turismo praticato nei paesi ricchi li fa più ricchi ma quello praticato nei paesi poveri li lascia poveri.
Ciò che una comunità è in grado di produrre deriva fisiologicamente dal territorio ove essa vive e la Daunia è il granaio d’Italia. Se ne curi il rilancio con fermezza e convinzione.
La fuga di cervelli è conclamata e genera una selezione inversa. Restano solo i peggiori? Ovviamente no! Ma chi resta, resta in condizioni peggiori rispetto ad altre aree del Paese ed è penalizzato: avrà poche chance, spesso è disoccupato. Disoccupazione diffusa e traversale: per ogni fascia d’età e per ogni ambito culturale.
Foggia ha tuttora nell’agricoltura il suo humus produttivo. Humus produttivo che oggi non le porta né ricchezza né occupazione. La sua provincia è agricola. L’agroindustria una chimera.
È stato ampiamente dimostrato che se il valore della produzione agricola si concentra nella trasformazione il segmento agricolo, gli agricoltori, ne sono espropriati.
Non trattandosi di una provincia industriale che trasforma prodotto proveniente da un altro territorio, la comunità non poteva permettersi il lusso di disinteressarsi del settore primario senza subirne devastanti conseguenze.
La prima provincia agricola per importanza e dimensioni d’Italia offre reali opportunità ai suoi abitanti?
Si è oggi indotti a rispondere che ciò dipende dalla capacità imprenditoriale del singolo e questo è un errore. Non si può pensare che siano solo i geni a sbarcare il lunario: ci si deve preoccupare delle occasioni reali e diffuse di lavoro e di impresa.
L’analisi dell’offerta di lavoro che la provincia di Foggia propone non è incoraggiante. Redditi bassi e lavoro frustrante sono i dati che emergono dal bilancio di una impresa agricola.
Perché?
La visione aziendalista è prona alla trasformazione
Si pratica un’agricoltura che non dà reddito.
Ciò non ha allarmato gli attori istituzionali: la loro visione è miope, inquinata da impostazioni aziendalistiche anch’esse funzionali all’industria di trasformazione.
Tale visione ha consentito agli attori politici locali e ai vertici delle organizzazioni produttive di assistere disinteressati alla contrazione della PAC e del reddito degli agricoltori. È un fatto che la Daunia non ha preteso dall’Europa il sostegno previsto dal trattato fondativo della Unione come MISURA NECESSARIA A MANTENERE LA SUA ECONOMIA IN VITA.
La produzione granaria dauna continua ed è eccellente, ma la fisionomia delle aziende agricole è cambiata.
Un degrado anche paesaggistico ha depresso la domanda di turismo verso le aree interne.
Si è ricostituito un desolante latifondo monocolturale disabitato, coltivato con un crescente e preoccupante uso della chimica, povero ed infruttifero se non per aziende di dimensioni ragguardevoli.
In altri termini, si è consolidato ai danni della popolazione locale un esproprio quasi totale del valore della produzione.
E la cosa è così tanto bene in vista, adagiata in ogni angolo di una provincia desertificata, da non poter essere vista.
Si vocifera che le procure siano state colpevolmente pigre nei confronti di quella che in pochi decenni è diventata la quarta mafia. Questo è complottismo.
Ma la disattenzione nel riconoscere l’importanza della produzione granaria e del reddito dei produttori della provincia di Foggia è davvero ingiustificabile e sembra rispondere a una logica di agevolazione della colonizzazione e della predazione dei valori più preziosi del territorio.