Attilio Barbieri, giornalista di Libero e blogger, non ama il confronto in tema di grano, pasta, contaminanti e relativi pronunciamenti dei Tribunali, nemmeno quando si prova a mettere in discussione la (vera) etichettatura per riconoscere il (vero) made in Italy. Il paladino del made in Italy, nel raccontare quel che fa comodo a lui, spesso va in fumo e si difende arrampicandosi sugli specchi o attribuendo baggianate a GranoSalus, l’unica associazione in Italia che ha scoperto il vaso di Pandora sul grano. E quando si stufa è pronto a bannare chi cerca di stanarlo per far emergere le sue proverbiali contraddizioni o il suo silenzio. Un bell’ esempio di informazione libera…ma non dai pregiudizi. Pronto il reclamo all’ Ordine nazionale dei giornalisti
Chi è questo blogger che si “incazza” facilmente? Dicono di lui i membri di Linkedin: “Attilio è una persona molto disponibile e scrupolosa, abituato a lavorare con metodo e organizzazione anche nel caos della redazione di un quotidiano a tiratura nazionale”.
Barbieri è un giornalista dell’ Oltrepò Pavese, caposervizio di Libero dal 2000, che si interessa di contraffazione, frodi e in genere di falso made in Italy. Il 20 aprile scorso scriveva su un suo articolo: “da consumatore ho il diritto di
conoscere l’origine delle materie prime alimentari e mi incazzo quando qualcuno mi tratta come un poppante, a cui raccontare solo quel che fa comodo.”
Barbieri attacca spesso i guru del cibo italiano, un cibo che da quel che appare è italiano solo se non va oltre i confini geografici del pecorino romano. Su cui lancia strali per metterne in discussione addirittura l’ origine protetta!
A quanto pare la paternità di scrivere sul vero made in Italy spetterebbe solo a lui.
“Guai a parlare di vero made in Italy. – scrive su un articolo del 20 agosto 2014 - Come minimo rimedi una bella medaglia da «solone di turno» o peggio una pergamena che ti bolla come «bigotto Doc». A difendere l’originalità e l’unicità del made in Italy si rischia di fare da puncing ball per i fautori del nuovo «verbo» alimentare mondialista. Cionondimeno non mi tiro indietro. Anzi mi sento chiamato in causa da alcune affermazioni che circolano sulla rete e sulla carta stampata con sempre maggiore frequenza sull’originalità dei cibi italiani”.
E’ opportuno premettere che il rapporto epistolare con Barbieri è iniziato qualche mese fa quando di fronte ad una sua richiesta di intervista si era rifiutato di trattare la notizia delle IENE, che avevano censurato un servizio sul grano. Già allora rispose: “non è una notizia!”
Eppure un giornalista è tenuto a favorire il dialogo dei cittadini con gli organi d’informazione.
Quel comportamento apparve molto strano. La censura di mediaset per Barbieri non era una notizia! I dubbi sulla sua (in)dipendenza aumentarono, sicché la nostra associazione oppose un netto diniego all’ intervista. Ma come? Le IENE fanno un servizio su un tema così importante che viene censurato da mediaset e il caposervizio di Libero non ritiene di dover far alcun commento per favorire il dialogo con gli organi d’informazione nazionale? Gli chiedemmo pure se non vi fossero conflitti d’interesse tra gli editori di Libero e le testate televisive di mediaset. Ma per Barbieri il rispetto della verità sostanziale dei fatti è un optional…
Egli non ricordava l’ articolo del fatto quotidiano del 22 agosto 2013 in cui si affermava che: “I due quotidiani ‘berlusconiani’ (Libero e Il Giornale) hanno chiamato in causa i commensali della cena …”. La sua risposta, invece, è stata: “Libero appartiene alla famiglia Angelucci! Berlusconi non c’entra niente!”
A distanza di mesi il giornalista di Libero si è ripresentato, grazie al rapporto epistolare con alcuni soci di granosalus, poi puntualmente bannati, e ha iniziato a postare commenti su alcuni articoli nella nostra pagina facebook su battaglia del grano.
In verità, il suo ingresso nella battaglia del grano comincia nel febbraio
2016 quando in un suo articolo scrive: “Cari pastai, sbagliate. Difendere la possibilità di mangiare pasta italiana fatta con grano italiano non è una battaglia ideologica. È un diritto. Da consumatore mi aspetto di capire cosa finisce sulla mia tavola. Si tratti di pane, pasta, riso, carne, salumi, condimenti, verdura o frutta. E sono in buona compagnia”.
E aggiunge: “da un indagine del Ministero è emerso chiaramente che il l’80% degli italiani si aspetta di sapere con quale materia prima sono fatti gli spaghetti destinati a finire sulla propria tavola”.
“Il problema che affligge le nostre eccellenze alimentari sta proprio qui: la difficoltà di valorizzarle sottolineandone l’unicità”, scrive sempre Barbieri.
Noi abbiamo provato più volte a spiegargli che l’unicità della pasta italiana non può essere esaltata da una finta etichettatura dell’ origine, su cui si concentreranno gli strali dell’ UE, ma dall’ assenza di alcuni marker sul grano e derivati, che pure un giudice ha asserito in una ordinanza del Tribunale di Roma, snobbata da Barbieri. Non è l’origine il fattore di qualità ma l’assenza di contaminanti. Ma il sovranista invasato dell’ Oltrepò Pavese fa finta di non capire e prosegue: “Sono quel che si dice un sovranista e il solo sentir parlare di Unione europea mi fa venire i fumi. Definire l’etichetta d’origine un atto protezionistico, però, mi sembra francamente inaccettabile”.
A questo punto il giornalista di Voghera, il 2 agosto 2017 comincia ad attaccare pubblicamente il presidente di GranoSalus, dopo un articolo critico della nostra associazione sull’ etichettatura della pasta, concepita non per dare informazioni utili sulla salubrità della pasta, ma solo a fini di propaganda elettorale. E così, il paladino del made in Italy, per difendere Martina e Calenda passa all’attaco e, in fondo ad una breve guida per capire la nuova etichettatura della pasta, scrive:
LA BAGGIANATA DEL PROVVEDIMENTO «ANTI COMUNITARIO» C’è pure chi, come il presidente dell’associazione Granosalus, Saverio De Bonis, è arrivato a parlare di provvedimento «anti comunitario» e di «finta etichettatura d’origine» (qui il link). Ma si tratta di una baggianata bella e buona, giustificata dal fatto che Granosalus pretende di imporre l’obbligo di indicare in etichetta le sostanze nocive contenute nella pasta, come il Glifosato – un diserbante largamente impiegato in Canada – e le muffe. Tutte, come risulta per altro dai test fatti eseguire dalla stessa associazione guidata da De Bonis, ampiamente sotto i limiti di legge. Ma anziché cercare la provenienza della materia prima, secondo Granosalus, dovremmo compulsare la tabella con i residui presenti nella pasta e qualora superassero certe soglie, diverse da quelle indicate per legge, dovremmo desumere che il produttore abbia utilizzato frumento duro made in Canada. Una follia, insomma. Peccato che il De Bonis dia del «venduto» a chiunque osi contraddirlo.
Il sovranista che va in fumi facilmente quando si parla di UE, dovrebbe sapere che l’Unione europea non ammette le scorciatoie dei ministri italiani. Specie quando le finalità sono sperimentali o meglio elettorali…Il provvedimento, infatti, entrerà in vigore a fine gennaio 2018, a fine febbraio scade la legislatura, a marzo si vota e ad aprile il decreto sarà rimosso dall’ UE. E’ inutile, quindi, che Barbieri faccia il gioco delle tre carte…per nascondere la verità.
Noi non diamo del “venduto” a nessuno, né pretendiamo d’imporre alcunchè, a meno che di fronte ad evidenti contraddizioni non vi sia l’ostinata convinzione della controparte di aver ragione a tutti i costi, anche contro il proprio codice deontologico. A tal proposito gli enormi sforzi per far capire a Barbieri come stanno le cose sul grano, sono stati inutili, ben sapendo egli che un giornalista non deve omettere fatti o dettagli essenziali alla completa ricostruzione degli avvenimenti.
Del resto, Barbieri non può da un lato scrivere “ai consumatori si pretende di imporre cosa debbano chiedere e cosa non chiedere. Cosa hanno diritto di conoscere e cosa no. Cosa possono aspettarsi di trovare sull’etichetta e cosa è meglio che non sappiano.” E poi attaccare un’associazione di produttori e consumatori dicendo che: “Granosalus pretende di imporre l’obbligo di indicare in etichetta le sostanze nocive contenute nella pasta, come il Glifosato – un diserbante largamente impiegato in Canada – e le muffe”.
E’ forse lesa maestà chiedere più sicurezza e informazioni sui cibi?
1) Eppure Barbieri, nella fiera delle sue contraddizioni, qualche settimana prima aveva scritto sull’ olio di palma: “il caso dell’olio di palma ha fatto scattare più di un campanello d’allarme. Da quando (dicembre 2014) è obbligatorio dichiararne la presenza nelle preparazioni alimentari, molti consumatori hanno smesso di acquistare i prodotti che lo contengono. E alcuni produttori, a cominciare da Barilla, cominciano a proporsi sul mercato con dolci privi dell’olio tropicale. I pastai probabilmente temono che possa succedere lo stesso con il grano d’importazione. Possibile.”
A questo punto qualche domanda a Barbieri (il bannatore) sorge spontanea: perché è favorevole ad abbandonare il grasso tropicale, che fa meno male alla salute di muffe e Glifosate, e ritiene folli le nostre richieste? Per quale ragione non si dovrebbe dichiarare la loro presenza in etichetta? Solo perché dà fastidio a un giornalista? E poi chi l’ha detto che Barilla, sotto la spinta dei consumatori, non possa cominciare a produrre pasta senza contaminanti?
2) Non è affatto vero che i contaminanti sotto i limiti di legge non debbano destare alcuna preoccupazione. Intanto aiutano a dubitare in maniera legittima sulla miscelazione tra grani stranieri e nazionali. E a capire la vera autenticità del 100% italiano. Affermare che questa esigenza sia una “follia” ci sembra fazioso. Del resto, lo ha ribadito anche una ordinanza del tribunale di Roma (link qui) che il giornalista Barbieri – nel rispetto della verità(!) – non ha mai voluto pubblicare e commentare, nonostante sia stato sollecitato ripetutamente in rete. A suo dire l’ ordinanza è una “non notizia“! Mentre per il suo Ordine il rispetto della verità sostanziale dei fatti è un obbligo inderogabile di un giornalista ….
3) Noi peraltro abbiamo scritto più volte a Barbieri che cos’è l’ effetto cocktail (effetto additivo e sinergico) e quali sono i rischi potenziali di più contaminanti a basse dosi, ma lui fa finta di ignorarli. Barbieri dimentica che a prescindere dalle soglie scientifiche, il glifosate è sospettato di essere un interferente endocrino e come tale deve essere assente. Abbiamo anche scritto più volte che i residui di glifosate dovrebbero essere pari a zero, come prevedono i regolamenti comunitari e i divieti nazionali sul grano (in ossequio al principio di precauzione), ma lui fa finta di ignorarli e invece di studiare le norme ed aprire un dibattito sul tema, insiste sul limite, dimenticando l’obbligo inderogabile di un giornalista: rettificare le notizie che risultino inesatte e riparare gli eventuali errori.
4) Del resto, non è affatto vero, egregio Barbieri, che il glifosate si può trovare anche sui cereali italiani. Al Sud si coltiva salute: i produttori di grano duro del mezzogiorno non usano glifosate! Non ne hanno bisogno! In Italia abbiamo il SOLE che fa maturare naturalmente il grano! Ed è qui che il sovranista dell’ Oltrepò pavese, invece di rettificare le sue notizie inesatte e riparare gli errori, ha dimostrato tutti i suoi limiti professionali su facebook: “ …Mi chiedo però, visto che così tanti agricoltori italiani utilizzano il glifosate, se le tracce trovate nelle paste analizzate da GranoSalus, non provengano ANCHE dal grano italiano. Invece di recitare la solita litania, provate a farvi questa domanda. Nessun cerealicoltore italiano usa il Glifosato per il diserbo?”.
Non sono dunque i cerealicoltori di GranoSalus che dovrebbero riflettere sull’ uso del Glifosate (a seguito di pseudo sondaggi commissionati da testate online sponsorizzate da rivenditori di agrofarmaci)…ma è lei che ha bisogno di formarsi e informarsi meglio! Specie sui regolamenti europei e sulle condizioni d’impiego del glifosate, nonché sui meccanismi d’azione. Un giornalista è tenuto a ricercare e diffondere ogni notizia o informazione che ritenga di pubblico interesse, nel rispetto della verità e con la maggiore accuratezza possibile. Altrimenti rischia di dire baggianate…!
5) Scrive infine Barbieri: “Sull’efficienza del sistema dei controlli i pastai devono concedere che qualche dubbio possa anche venire dopo i maxi sequestri in serie.”
Peccato che non appena gli raccontiamo noi la vicenda dei (non) controlli, con articoli puntuali e scomodi, si “incazza” e ci banna pure dalla sua pagina fb, dimenticando che il giornalista deve rispettare, coltivare e difendere il diritto all’informazione di tutti i cittadini.
Barbieri sa bene che la responsabilità del giornalista verso i cittadini prevale sempre nei confronti di qualsiasi altra. Egli non può mai subordinarla ad interessi di altri e particolarmente a quelli dell’editore, del governo o di altri organismi dello Stato.
Che dire allora del giornalista Barbieri? Pazienza faremo a meno dei pregiudizi di un finto paladino del made in Italy che difende altri interessi…non senza ricordargli sia la carta dei doveri del giornalista, sia il fatto che l’ Ordine nazionale dei giornalisti verrà informato della sua condotta professionale….
CARTA DEI DOVERI DEL GIORNALISTA
Il rapporto di fiducia tra gli organi d’informazione e i cittadini è la base del lavoro di ogni giornalista.
Il lavoro del giornalista si ispira ai principi della libertà d’informazione e di opinione, sanciti dalla Costituzione italiana, ed è regolato dall’articolo 2 della legge n. 69 del 3 febbraio 1963:
«E’ diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e della buona fede. Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte e riparati gli eventuali errori. Giornalisti e editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse, e a promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi, la cooperazione fra giornalisti e editori, e la fiducia tra la stampa e i lettori»