Si al cibo sano

CUN del grano, tra ritardi della politica e ambiguità dei sindacati

Il ritardo che la politica sta accusando nell’emanare il decreto attuativo sulle Commissioni uniche nazionali-CUN, pronto già da luglio scorso quando fu approvato in Conferenza Stato-Regioni, è davvero inammissibile. Il settore è in crisi, c’è una legge dal 5 luglio 2015 che ha istituito la trasparenza nei mercati agricoli assegnando novanta giorni per emanare il decreto attuativo, ma a distanza di due anni il decreto è impaludato a Roma. Come mai? Quando si muove il  Ministro Martina a pubblicarlo? Ormai le elezioni politiche sono imminenti. E i sindacati agricoli quando si muovono a convocare il tavolo di filiera per parlare del Regolamento e avviare subito le quotazioni CUN del grano? A chi giova tutta questa perdita di tempo? Solo alla speculazione! Nel frattempo a Foggia si fanno due valutazioni: il nuovo e il vecchio grano. 

Gli agricoltori sono in crisi, i consumatori ignorano la provenienza e la qualità tossicologica del grano con cui si fa la famosa pasta, la politica aspetta la data delle elezioni per calibrare l’emanazione del decreto CUN e illudere i consumatori con l’etichettatura transitoria, mentre le industrie reclamano l’ indispensabilità del grano estero per offrire una dieta che di mediterraneo ha ben poco.

Nel forum sul grano duro sentite cosa dichiara alle telecamere Cosimo de Sortis in rappresentanza di Italmopa: “ Il mercato del grano duro è un mercato globalizzato. L’Italia per quanto sia uno dei produttori più importanti a livello mondiale deve comunque obbedire a delle logiche internazionali. Quindi evidentemente il prezzo della materia prima nazionale viene condizionato dagli esiti e dai prezzi dei grani duri prodotti all’ estero e venduti anche in Italia. L’ Italia è comunque un importatore fisiologico, anche se noi investissimo l’intera superficie della nazione a grano duro risulteremmo ancora deficitari. Quindi in ogni caso non possiamo fare altro che continuare a guardare ai grandi produttori esteri che assicurano uniformità e tenori proteici minimi nelle produzioni per preservare l’immagine della pasta italiana nel mondo. La pasta italiana è la migliore nel mondo perché realizzata con i migliori grani del mondo”.

Quando guardiamo ai grandi produttori esteri dovremmo ricordare che all’ estero il prezzo non è anticoncorrenziale come in Italia. Vorremmo far notare al rappresentante Italmopa che all’ estero i prezzi sono rapportati alla qualità (tossicologica) non all’età del grano. Italmopa, quindi, farebbe bene a dichiarare quale sia il prezzo estero dei “migliori grani” e riferire i contenuti tossicologici che interessano ai consumatori molto più delle proteine che invece aumentano la sensibilità al glutine.

Ad esempio, con una CUN del grano già avviata, avremmo appreso dai Report Ismea che la quotazione estera del grano di 1° classe pagata agli agricoltori canadesi è pari a 21 euro qle. Questo grano, che ha 500 ppb di DON, con tutti i costi di elevator e trasporto in nave verrebbe a costare in Italia circa 40 euro qle ai mugnai di Italmopa. Per non parlare del famoso Desert Durum americano che costa ancora di più, perché privo di DON!

Al contrario, in Italia arriva solo il grano di 3° classe con 1200-1600 ppb di DON, che non è paragonabile al nostro perché privo di DON e di glifosate, e che viene pagato agli agricoltori canadesi appena 5-6 euro a qle. Sempre questo grano con i costi di elevator e trasporto arriva al porto di Bari a 23,5 euro qle (Borsino Altamura AMC). Italmopa non deve dimenticare che un grano tenero canadese con oltre 1000 ppb di DON non può essere utilizzato nemmeno per i maiali.

E allora di quale concetto di qualità stiamo parlando? Quella riservata ai consumatori o agli animali?

L’ immagine della pasta italiana nel mondo a favore di chi va preservata? Una pasta che risulta piena di residui, sia pur entro i limiti di legge, come abbiamo dimostrato nel Test GranoSalus, tanto combattuto nei tribunali dall’ industria della pasta italiana!

Gli industriali della pasta e i loro mugnai farebbero bene a rispettare il principio di precauzione e il diritto all’ informazione che non sono un optional del nostro ordinamento comunitario. Si tratta, infatti, di principi preponderanti rispetto ai loro business! Altro che diffamazione!

Perché i mugnai non pagano il pregiatissimo grano italiano – esente da micotossina DON e da Glifosate – almeno quanto il miglior grano straniero? Per via delle proteine? Ma il leader di mercato sta dimostrando che la pasta più sana (linea Bio) si può fare anche con l’ 11,5% di proteine. Le proteine sono un alibi per accelerare i tempi di lavorazione e speculare sulla salute dei consumatori e dei produttori.

Infatti, se la CUN fosse già partita da Gennaio di quest’anno, con la griglia di valutazione della qualità tossicologica, su cui il Governo si è già impegnato in Parlamento, adesso le condizioni del mercato sarebbero state più vantaggiose per i produttori e per i consumatori. Le aziende agricole non sarebbero ancora in ginocchio mentre, forse, gli artigli della speculazione sarebbero stati spuntati. A tutto vantaggio della trasparenza ai consumatori finali. Il prezzo odierno, in tal modo, si sarebbe attestato ad almeno 40 euro!

Qualcuno un giorno pagherà tutti questi danni? Lo vedremo perché ci sono dei giudizi in corso avviati da GranoSalus.

Nel frattempo i sindacati fanno melina. Non hanno ancora capito che la loro sudditanza alle industrie è un abbraccio mortale per i produttori di grano del mezzogiorno.

A Foggia ieri nella commissione prezzi camerale è stata inaugurata l’ ultima trovata: la doppia valutazione. Quella del grano vecchio (o bianconato) e quella del grano nuovo. Il grano vecchio ha registrato “invariato” e quello nuovo “non quotato”. Una novità ovviamente non gradita dai produttori che ancora non hanno venduto il grano. Come si fa a stabilire due prezzi? All’ estero gli stock di grano di qualche anno fa, che i canadesi ormai hanno imparato a miscelare da quando il sistema è stato privatizzato, non sono quotati in modo diverso da una campagna all’ altra.

Gli stessi sindacati che si acconciano a sposare la logica del doppio prezzo, ne hanno sposato già un terzo sistema: quello della filiera. Una logica  unilaterale senza comprenderne i meccanismi anticompetitivi che lo sorreggono. E meno male che solo il 6% del mercato ha abboccato all’ amo delle filiere. Che alla prova dei fatti si sono rivelati un vero e proprio flop su cui lo stesso Ministro Martina dovrebbe riflettere e interrogarsi. Senza una chiara definizione dei limiti giuridici, i contratti di filiera sono contratti capestro che servono solo a soffocare la ripresa del settore per offrire una zattera di salvataggio virtuale agli agricoltori disperati. Sono, dunque, il fardello che ci ha lasciato questa crisi, la più grave rispetto a quella degli anni 30.

Qualcuno poi nel minestrone dei contratti di filiera, dopo aver attaccato il conto deposito, tenta di aggiungere termini come gestione del rischio o fondi mutualistici: aria fritta per chi si appresta a trebbiare in condizioni di incertezza.

Gli agricoltori e i consumatori hanno bisogno di soluzioni trasparenti non di slogan.

Solo la trasparenza e un’equa distribuzione del valore aggiunto possono ridurre il gap anticompetitivo che regala margini stratosferici a chi trasforma e commercializza e le briciole a chi produce. Con il rischio potenziale di gravi problemi di salute per chi consuma, che vorrebbe a questo punto legittimamente sapere quali sono i tenori tossicologici della pasta, leggendone i contenuti sulla busta. Proprio come si fa con l’acqua minerale.

Ma i sindacati non lo sanno o fanno finta di non saperlo e nei convegni continuano a parlare di filiere di cui non conoscono il vero significato. Mentre dovrebbero convocare urgentemente un tavolo per discutere di Regolamento CUN, di Griglia della Qualità tossicologica e delle indispensabili informazioni necessarie al mercato (produzione, consumi, import-export, scorte). Che devono essere tempestive per favorire un giudizio imparziale dei commissari. Solo così si darà  forza alla trasparenza e alla redistribuzione dei redditi.

Il resto sono chiacchiere al vento che servono a giustificare le importazioni!

 

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