Durum Days, Granosalus: “Produttori stufi delle chiacchiere”

La tavola rotonda organizzata a Foggia per incrementare la competitività e sostenibilità della filiera nazionale del grano duro è sembrata una grande farsa, di cui i produttori sono ormai stufi. Il granaio d’Italia arretra. Perché? Il mezzogiorno  pur essendo il più grande bacino mondiale di grano duro sotto il profilo qualitativo, in particolare tossicologico, paragonabile solo all’ area del Desert Durum americano, è infettato da organizzazioni sindacali che fanno finta di non saperlo. La CUN e la trasparenza non sono più un obiettivo strategico dei sindacati agricoli. E allora come far luce sulla qualità tossicologica e sui prezzi nazionali ed internazionali? La nuova parola d’ordine si chiama interprofessione, in barba al libero mercato.

La qualità del grano sotto il profilo tossicologico appare un optional per gli organizzatori della seconda edizione di Durum Days. Dopo l’apertura dei lavori da parte del Presidente della Camera di Commercio  Porreca, che ha ricordato la valenza culturale del grano oltre quella commerciale e imprenditoriale, ha preso la parola Marcellini di Alleanza delle Cooperative, che ha sottolineato il valore della filiera, presente in modo compatto al Durum Days, evidenziando l’ assenza al tavolo  della distribuzione organizzata. Si è detta favorevole ai contratti di filiera e a misure che “obblighino la sottoscrizione attraverso la PAC“, visto il flop degli incentivi ministeriali. Una deriva questa molto pericolosa per il libero mercato che avrebbe il sapore di un regime autoritario.

Il direttore del CREA Pecchioni ha illustrato le previsioni di quest’ anno in Italia annunciando rese e superfici in calo (-10%). La produzione stimata per l’ Italia è di circa 4,5 milioni di tonnellate. Un milione in meno rispetto al 2016. Ha anche riferito che la ricerca non riesce a fornire nuove varietà resistenti alla fusariosi, ma solo all’ oidio, septoria e ruggine. Non ha però evidenziato che la fusariosi nel mezzogiorno non si sviluppa, per via delle condizioni climatiche seccagne, e che questo aspetto è un punto di forza nello scenario competitivo mondiale. Infatti, l’ unica parte del mondo dove insistono analoghe condizioni climatiche è l’area del Desert Durum negli Stati Uniti, ma nessuno al CREA sembra informato sui nostri punti di forza, nè sui prezzi riconosciuti a grani senza DON.

A che serve allora la ricerca pubblica? A rifornire qualche multinazionale? Perché non tiene conto di tutte le considerazioni sulle micotossine dell’ Istituto Superiore di Sanità? Un ente pubblico come il CREA non può non sapere quanto sia importante e strategico il tema delle micotossine sulla salute delle piante e, soprattutto, dell’uomo. Se ciò accade è sintomo di un cortocircuito inaccettabile, mentre queste cose ce le sottolineano gli americani.

Ci saremmo aspettati un confronto diretto con i relatori internazionali che hanno parlato del mercato estero del grano, tuttavia la platea ha dovuto ascoltare in video conferenza le  relazioni che si sono succedute su Canada, Usa, Francia e Kazakistan.

La relazione del Prof William Wilson, docente di Agribusiness ed Economia Applicata presso la Università del North Dakota, è stata sicuramente la più importante sia perché ha parlato del mercato nord americano del grano duro, nostro principale competitor, sia perché ha fatto capire alla platea quanto sia fondamentale per Canada e Usa produrre un grano avendo piena consapevolezza dei limiti derivanti dalla presenza di Fusarium. Questo temibile fungo da cui si origina il Deossinivalenolo (DON) rappresenta l’incubo dei canadesi perché nelle loro aree si sviluppa enormemente, con riflessi per la salute pubblica mondiale.

Il dato preoccupante per la platea arrabbiata degli agricoltori è che il prezzo delle quotazioni non aumenterà, se non di poco, nonostante scorte e produzione mondiale siano in calo. Il motivo? Nel Canada gli stock sono pieni.

Ma quali stock? Di che qualità?

Il Canada ha cinque gradi di valutazione del grano. Quello buono di 1° e 2° è troppo caro per i nostri importatori che ad Altamura ritirano solo il grano di 3° qualità. Il grano di 1° e 2° qualità costa all’ origine in Canada da 25 a 35 dollari, mentre quello di 3° costa appena 5-6 dollari canadesi. Per portarlo in Italia vanno aggiunti tutti i costi di elevator e trasporto (altri 15-20 dollari). Per non parlare del grano di 4° e 5° che in Canada non mangiano nemmeno i maiali!

Da fine dicembre ad oggi i canadesi hanno spedito all’ estero già 2 milioni di tonnellate. Chissà quanto di questo grano è già arrivato in Italia!

Nessuno dei relatori ha spiegato queste differenze, nè che fine abbia fatto questo grano così rapidamente, ragion per cui gli agricoltori di Capitanata hanno iniziato a protestare durante i lavori del Forum. Pietro Di Mola è stato il primo ad alzarsi e ad andar via indignato dicendo: “l’anno scorso ci avevate detto che il grano canadese era necessario per le sue qualità!” Invece oggi scopriamo dalla relazione del professore americano che solo il 24% del grano canadese può dirsi di qualità. Il resto, cioè il 76%, è grano scadente come afferma da tempo Granosalus sulla base dei dati doganali.

In sostanza, il paradosso che ha indignato la platea, dopo le parole del Prof William è quello secondo il quale il Canada riesce a dettar legge sul mercato, a prescindere dalla qualità, mentre le industrie pastaie non si pongono il problema della qualità. Che non è declinabile solo in termini di proteine. Le proteine in eccesso fanno male ai consumatori.

Altri agricoltori in sala hanno urlato spiegando al moderatore dell’ Informatore Agrario Boschetti che “il nostro grano è senza DON e quindi non può essere definito una commodity, ma un grano di qualità!” Boschetti ha risposto che sino a quando queste caratteristiche non saranno evidenziate si rimarrà nel regime indifferenziato di commodity. Un regime questo che fa gola agli speculatori internazionali che si divertono a miscelare lotti contaminati per esportare in Italia dei rifiuti speciali e guadagnare profitti stratosferici.

Ma se il nostro grano al Sud è eccellente a chi tocca il ruolo di valorizzarlo?

Nella Tavola Rotonda successiva, il presidente di Alleanza Cooperative Mercuri, che  sulla Gazzetta di gennaio scorso aveva annunciato che a maggio sarebbe partita la CUN a Foggia, oltre a criticare per il secondo anno consecutivo il conto deposito delle cooperative, ha detto che il problema è a monte: “Manca la filiera e senza un accordo serio sarà peggio per tutti“. Mercuri, tuttavia, dimentica che molte cooperative agricole del Sud in questa situazione di inerzia e confusione sono costrette a non seguirlo. Fanno filiera con i canadesi e fittano i propri silos (2 euro/qle) per stoccare il grano che arriva al porto di Bari. Anche se il fine mutualistico per cui sono nate è un altro ed anche se i fondi comunitari con cui sono stati realizzati i silos avevano finalità diverse: incentivare il reddito degli agricoltori italiani, non dei canadesi.

Insomma, la soluzione al problema secondo sindacati, mugnai e pastai è “adottare i contratti di filiera“, cose già sentite da decenni senza alcun risultato utile per gli agricoltori e i consumatori. Mentre la CUN non appare più la soluzione perché potrebbe guastare la macchina dei manovratori del mercato. Che ne sarà del principio di trasparenza sancito per legge? E la risoluzione con cui il governo si è impegnato a classificare qualitativamente il grano riguardo al profilo tossicologico e reologico?  A spregio della norma è davvero necessario inventarsi nuovi termini come l’ interprofessione per raggirare il vero problema che è di trasparenza nella valutazione della qualità, a tutela di consumatori e produttori?

Ferro di Aidepi, nel suo brevissimo intervento, ha sottolineato che in Canada un operatore italiano può agevolmente interfacciarsi con 5 interlocutori, per acquistare grano, mentre in Italia è costretto a farlo con 500 soggetti diversi (piccoli commercianti e cooperative). E’ forse un alibi il suo per non acquistare il buon grano italiano e produrre pasta che alla prova delle analisi non è idonea per i bambini?

E’ vero che il Canada detiene il 50% di quota degli scambi internazionali di grano, ma è anche vero che fino a qualche anno fa il mercato canadese era controllato dallo stato. Oggi noi attraverso la CUN e le risoluzioni del governo italiano potremmo avere un confronto ad armi pari sotto il profilo qualitativo. Ne gioverebbero produttori e consumatori.

Ma di questo i sindacati agricoli non sembrano convinti. Nessuno ha parlato dei ritardi del decreto attuativo CUN. Non hanno una chiara idea di politica per il settore. Così come risultano all’ oscuro di tutte queste dinamiche e problematiche di mercato che tanto bene gli americani ci hanno illustrato. Come mai? Gli mancava la possibilità di fornirsi di consulenti? La loro parola d’ordine adesso è: interprofessione. Un altro termine misterioso? O, forse, la voglia d’incatenare le aziende agricole legando i contributi PAC alla sottoscrizione di contratti capestro.

Un rischio enorme per il libero mercato.

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