Speravamo di poter parlare direttamente al Ministro Martina, per rappresentargli il pesante quadro della situazione del Grano duro nel mezzogiorno, da cui si ricava la famosa pasta italiana, ma non è stato possibile incontrarlo a Matera ieri. Lo ha dichiarato Saverio De Bonis, presidente dell’ Associazione GranoSalus.
Ecco il documento che arriverà al Ministro: (Documento-finale-Convegno-di-Melfi)
A pesare, nel quadro tratteggiato dall’unica associazione che mette insieme produttori e consumatori è soprattutto la presenza ingombrante di grano estero, canadese ed ucraino che, grazie a una serie di accordi commerciali, occupa oggi una fetta rilevante del mercato cerealicolo nazionale.
“La maggior parte delle importazioni nell’UE – hanno spiegato i produttori di GranoSalus – oltre a non pagare dazio, sono derrate di bassa o media qualità, che deprimono il valore del mercato nazionale di qualità. In particolare, le importazioni di grano dal Canada che arrivano al porto di Bari, secondo i dati forniti dall’Agenzia delle Dogane, sono di qualità scadente: il 43% è di bassa qualità, il 24% è di media qualità. Con questo standard di grano i nostri pastai si vantano di produrre una pasta iperproteica, dopo aver sapientemente miscelato il grano estero con i grani nazionali.
Ma quel che ci spaventa è altro. Dai dati forniti dalla U.S. Weath Associates oltre il 50% del grano CWAD Canadese 2016 ha un livello di micotossina DON pari a 4700 ppb e dai dati forniti dal Canadian Grain Commission circa il 73,6% del grano CWAD N° 3 presenta danni da fusarium dal quale si sviluppa il pericoloso contaminante.
Ora – denuncia la nota -, la prassi di miscelare grani contaminati con grani privi di contaminazione al fine di ottenere partite mediamente contaminate (sia pur entro i limiti di legge), è vietata dall’ Europa. Ma le industrie italiane di trasformazione giustificano questa prassi come ineludibile per il loro know-how.
Il Reg 1881/2006 al comma 2 dell’ art 3 prevede infatti che: “I prodotti alimentari conformi ai tenori massimi di cui all’allegato non possono essere miscelati con prodotti alimentari in cui tali tenori massimi siano superati”.
E’ facile così comprendere come, attraverso l’ accordo CETA, si avranno effetti commerciali e salutistici devastanti per l’ Italia: “Oggi le importazioni dall’ estero coprono oltre il 55% dell’import UE totale e nei prossimi anni aumenteranno sempre più se i consumatori non si riapproprieranno della loro sovranità. La cerealicoltura italiana è così destinata a scomparire”.
Un quadro buio per reagire al quale alcune associazioni si sono incontrate a Melfi per condividere una piattaforma comune (Documento-finale-Convegno-di-Melfi) che sarà presentata al Ministro dell’Agricoltura, per il tramite di Luca Braia, Assessore all’ Agricoltura della Regione Basilicata, la terza regione italiana per produzione di grano duro.
Ecco le richieste alla politica:
1) Il riconoscimento effettivo della “griglia di qualità tossicologica” prevista da una recente risoluzione del governo sul grano duro, che consentirebbe di evitare le furbizie degli industriali italiani e di esaltare la qualità del prodotto nazionale e meridionale, a beneficio della salute dei consumatori;
2) L’ armonizzazione delle soglie europee di micotossine, prima tra tutte il DON, ai livelli internazionali di cui alle fonti Fao;
3) L’ estensione del divieto d’uso del glifosate, già in vigore in Europa, ai grani d’importazione e alle misure del PSR ;
4) L’ armonizzazione a livello Ue delle procedure doganali e il rispetto delle convenzioni internazionali sulla navigazione che prevedono specifici controlli da parte della Guardia Costiera su ogni carretta che attracca ai nostri porti;
5) Il riconoscimento del ruolo sussidiario delle associazioni nelle analisi tossicologiche sui prodotti a base di cereali e il sostegno alle campagne d’informazione capillare ai consumatori.